Libri: " Insurrezione Armata - Parlano i protagonisti di Potere Operaio "
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Per la prima volta parlano i protagonisti di Potere Operaio. La storia di uno dei momenti più difficili della nostra Repubblica
Rizzoli BUR editore - Milano 2005
L’accusa era che un unico piano legasse tutta la sovversione in Italia, negli anni di piombo. Tutta, dagli attentati compiuti da gruppi clandestini fino alle sfide alla legalità compiute nelle strade a viso aperto da migliaia di giovani. Tutta, dalle Brigate Rosse attraverso molte sparse sigle usate per firmare attentati, fino alla Autonomia operaia organizzata. Fu mossa a carico di coloro che avevano fatto parte di "Potere Operaio", in un processo tenuto davanti alla Prima corte d’Assise di Roma tra il 1983 e il 1984, un processo che spaccò l’Italia tra colpevolisti e innocentisti. Tra gli altri, il professor Antonio Negri, l’ex leader del movimento studentesco Oreste Scalzone, lo scrittore Nanni Balestrini, l’architetto Alberto Magnaghi, operai come Gianni Sbrogiò e Augusto Finzi, e poi Francesco Bellosi, Lucio Castellano, Mario Dalmaviva, Luciano Ferrari Bravo, Alberto Funaro, Libero Maesano, Giovan Battista Marongiu, Jaroslav Novak, Gianfranco Pancino, Giorgio Raiteri, Adriana Servida, Francesco Tommei, Emilio Vesce, Paolo Virno, Lauso Zagato, Domenico Zinga. Erano stati tutti imputati, in concorso, per avere .
All’inizio, il 7 aprile 1979, l’accusa mossa dal procuratore della Repubblica di Padova Pietro Calogero era stata di far parte delle stesse Brigate Rosse. Nell’ordine di cattura per Antonio Negri, Franco Piperno, Giuseppe Nicotri, Vesce, Zagato, Ferrari Bravo, Dalmaviva e Scalzone, veniva contestato l’aver . Un secondo mandato di cattura fu emesso a Roma contro Antonio Negri per l’uccisione degli uomini della scorta e per il rapimento e l’assassinio del presidente della Democrazia Cristiana, nonché per il delitto di insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Negri fu anche accusato di essere il presunto autore della telefonata del 30 aprile 1978 nel corso della quale un brigatista aveva spiegato a Eleonora Moro, moglie dello statista, che esclusivamente dell’on. Zaccagnini, all’epoca segretario politico della Dc, poteva essere condizione indispensabile per la salvezza del prigioniero. L’inchiesta di Padova era stata messa in moto dalla testimonianza di un sindacalista veneto ex militante di Potere Operaio, Antonio Romito. Nel dicembre 1979 le dichiarazioni di un pentito milanese, Carlo Fioroni, rese nel carcere di Matera, portarono a una nuova ondata di arresti. In primo grado le condanne inflitte dalla prima Corte d’Assise di Roma il 12 giugno 1984 furono pesantissime per quasi tutti gli imputati, alcuni secoli di carcere complessivamente. Poi, tra appello e cassazione, al termine dei tre gradi di giudizio, le pene furono considerevolmente ridotte per i principali accusati, addirittura annullate per alcuni degli altri. Fu appurato che non c’era stata una insurrezione armata contro i poteri dello Stato, piuttosto una costituzione di separate associazioni sovversive e bande armate; che nessuno dei 22 arrestati del 7 aprile 1979 apparteneva alle Brigate Rosse; che Negri non era il ‘grande vecchio’ il manovratore occulto di tutta l’eversione in Italia, né l’anonimo interlocutore telefonico della moglie di Moro, più tardi identificato in Mario Moretti. Del processo e delle sue modalità, prime fra tutti la spropositata carcerazione preventiva cui furono sottoposti gli imputati e l’abitudine di emettere nuovi mandati di cattura con nuove accuse così da consentire il prolungamento della detenzione, si occupò a più riprese Amnesty International che ravvisò e denunciò ripetute violazioni dei diritti umani.
Questo libro non è, non può e non vuole essere un saggio critico su quel procedimento penale né una sorta di giudizio a posteriori di quello che, a torto o a ragione, fu chiamato teorema Calogero, dal nome del procuratore di Padova che, per primo, avviò l’inchiesta. La verità processuale, del resto, lo sa benissimo chi frequenta abitualmente le aule giudiziarie, non sempre corrisponde alla realtà effettuale. Alla domanda se ci fu veramente insurrezione armata contro i poteri dello Stato, chi scrive si sente senza dubbio in grado di rispondere che no, non ci fu. Ma questo non vuol dire che in quel decennio compreso tra la fine degli anni Sessanta e la fine dei Settanta, non ci furono gruppi, associazioni e bande più o meno sovversivi, più o meno armati, che si dedicarono, intenzionalmente, al tentativo di rovesciare le istituzioni di questo Paese, ossia a predisporre quanto sarebbe stato necessario, e a loro avviso, auspicabile, affinché tale insurrezione prendesse piede. Se così non fu, se, cioè, il Paese non sprofondò in una guerra civile di dimensioni apocalittiche o in una specie di assalto generalizzato al cuore dello Stato, ebbene, il merito non può certo ascriversi a chi, e ce ne furono molti, predicò, scrisse, raccomandò, propugnò tutta una pubblicistica e una ideologia improntate all’odio verso il potere costituito e verso i simboli che questo potere rappresentavano, con l’obiettivo, evidente e manifesto, mai taciuto e, anzi, gridato ai quattro venti, di distruggere un sistema economico e politico per favorire l’avvento di una nuova era, di quella dittatura del proletariato che, sola, avrebbe offuscato e sostituito, una volta per tutte, il capitalismo e donato agli uomini una società comunista panacea di tutti i mali.
Questo libro, dunque, non si preoccupa dei contenuti e degli esiti giudiziari di quel procedimento passato alla storia come <7 aprile>. L’autore non ha difficoltà ad ammettere di essere perfettamente consapevole delle lacune, degli altrettanti errori e, perfino, perché non ammetterlo?, degli obbrobri processuali commessi durante tutta l’inchiesta e fino alla sentenza definitiva. Questo volume ha voluto restituire al lettore, al di fuori di ogni cautela essendo, ormai, i reati caduti in prescrizione, le testimonianze, inedite, di numerosi protagonisti di quella stagione. Finalmente, a distanza di quasi tre decenni, chi operò più o meno concretamente per combattere i poteri dello Stato, ha deciso di raccontarlo. Cominciando, però, dalle origini, dai primi approcci alla politica, dall’ambiente familiare e sociale.
Ne esce uno spaccato incredibilmente sincero di quegli anni, anni di speranze e di paure, di coraggio e di viltà, di idee e ideologie contrapposte, di passioni violente. Ebbene, queste piccole autobiografie, raccolte in un periodo compreso tra il 2001 e il 2005, hanno il pregio di svelare episodi e congetture capaci di restituirci non solo il clima, politico e non, proprio di quel tempo, ma anche i personaggi. Penso, ad esempio, a Giangiacomo Feltrinelli, l’editore saltato in aria il 14 marzo 1972 mentre stava tentando di far esplodere una carica di dinamite su un traliccio dell’alta tensione a Segrate. Il racconto, ad esempio, di Cecco Bellosi – ma non solamente il suo – è, in questo caso, illuminante. Colui che ha raccolto e selezionato queste esperienze di vita, lo ha fatto cercando di rappresentare un po’ tutte le anime di quel gruppo passato alla storia come Potere Operaio, fondato nel 1969 e scioltosi, effettivamente, e non fittiziamente come ha sempre sostenuto il procuratore Pietro Calogero, a Rosolina, nel giugno 1973. Potere Operaio per vari motivi: sia perché quasi tutti i suoi quadri dirigenti finirono nel calderone delle inchieste padovana e romana; sia perché molti dei suoi componenti, penso a Adriana Faranda, Valerio Morucci, Alvaro Lojacono, Bruno Seghetti, Germano Maccari, una volta finita l’esperienza di Potop, intrapresero la strada della lotta armata; sia perché l’autore ritiene fondamentale la fonte orale, opportunamente verificata, in ogni tentativo di ricostruzione storica che voglia andare oltre l’apparenza e far capire, a chi legge, le motivazioni di certe scelte piuttosto che di altre e gli aspetti umani oltreché politici e storici che tali scelte hanno provocato.