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Recensioni: Massimo Stefanini - Via Fani nelle parole dell'ultimo brigatista

Si avvertiva il tepore primaverile. La sera prima avevo visto in Tv Ajax-Juventus di Coppa dei Campioni di calcio. Quel giovedì, giorno di mercato settimanale ad Altopascio, capii pur essendo ancora un bambino che doveva essere successo qualcosa di grave, perché ci fecero uscire da scuola molto prima del solito. Qualche adulto commentava: “Qui scoppia la guerra civile”. E’ il mio ricordo personale del 16 marzo 1978. E tutti quei telegiornali, su tutti quello con la voce affranta di Paolo Frajese. Il tema dei giorni successivi: descrivi cosa hai provato per il rapimento dell’onorevole Aldo Moro. Il bel voto preso era il prodotto di un lungo racconto vissuto sulle emozioni. Quello che Grandi definisce nella premessa del libro il più tragico fatto di sangue della Repubblica, contornato da misteri veri o presunti, il caso Moro, mi ha sempre affascinato. Nella presentazione della settima fatica letteraria di Aldo Grandi, “L’ultimo brigatista”, ad Altopascio, abbiamo visto la prima parte del film di Giuseppe Ferrara sul rapimento e l’uccisione dello statista Dc. Hai giustamente, caro Aldo, sottolineato gli errori di quest’opera (motociclette mai adoperate poiché fuori dal modus operandi delle BR, Moretti che, al contrario di quanto accade nella pellicola in oggetto, non ha mai sparato un colpo d’arma da fuoco in vita sua). Ne ho visti altri. L’ultimo “Piazza delle cinque Lune” di Renzo Martinelli, regista semisconosciuto ma apprezzato che però ipotizza teorie con complotti stranieri favoriti dai servizi segreti deviati. Per Grandi, abilissimo nella ricostruzione storica, invece la stella a cinque punte è fenomeno solo italiano. Il volume di Aldo è a mio avviso tra i migliori che ho letto sul caso Moro. Minuzioso e preciso (stessa caratteristica che lo scrittore ha evidenziato con l’analisi del personaggio Feltrinelli) scava non sull’intera fase della vicenda Moro, ma solo sui quei terribili minuti in via Fani. Il professor Luciano Luciani, intervenuto alla serata di presentazione, ha mirabilmente definito una delle armi più efficaci del libro, l’intervista. Grandi estrae da Fiore quello che Sergio Zavoli trasmette descrivendo la testimonianza di Franco Bonisoli in “La Notte della Repubblica, Eri editore”. Bonisoli, uno che in via Fani ha ucciso, racconta che salì su un autobus subito dopo l’eccidio e che fu compiaciuto, quasi cinicamente, di aver riscontrato che ancora la gente non sapeva cosa fosse accaduto e che tutto era tranquillo. Il dottor Fabio Origlio, magistrato e amico di Aldo ha centrato secondo il mio modesto parere quello che fu il brodo di coltura primordiale di quei movimenti che volevano cambiare la società. I giovani del ’68, Marcuse, l’immaginazione al potere gruppi anarcoidi che tra illusione e realtà, pensavano davvero di cambiare lo Stato, dichiarandogli guerra, con la banda armata e con l’ideologia. Adesso fanno ridere quei comunicati brigatisti dove si parlava del SIM, l’imperialismo delle multinazionali. Dopo i fatti di Avola in Sicilia e alla Bussola, il fallito golpe Borghese del 1970, la società è in subbuglio. Giustamente il professor Bernardi Guardi ha parlato di responsabilità: le Università, (ricettacolo di gente pronta all’insurrezionalismo come bere un bicchier d’acqua) i professori nelle scuole superiori, che tolleravano le assemblee politiche autogestite per paura di ritrovarsi una bomba sotto la macchina, la classe politica, con quei salotti radical-chic a sinistra della sinistra parlamentare che legittimavano la violenza e la morte. Eccoli, i prodromi degli anni di piombo. Delle P38, le stesse che avevano ucciso Occorsio, rapito Sossi a Genova. Del resto c’era pure bisogno di qualche azione eclatante visto che la concorrenza del terrorismo nero non scherzava! Poi l’apice. Alcuni ipotizzano che Moretti avesse tre nomi per l’operazione clou. Alla fine del 1977 i candidati da rapire e sottoporre al processo del popolo, erano Andreotti e Moro. Ma il politico pugliese era più facile da beccare, meno controllato, più abitudinario. Come vedi, Aldo, la storia che hai analizzato superbamente nel tuo libro mi interessa. Credo di interpretare il sentimento di molti miei coetanei, dicendo che abbiamo vissuto una sorta di disperazione esistenziale. Sì, perché eravamo piccoli o non ancora nati nei mitici anni Sessanta. Ci siamo persi i Beatles, il boom economico, lo sbarco dell’umanità sulla Luna, il 4-3 sulla Germania ai Mondiali del Messico del ‘70. Nel decennio a venire, quello di piombo, eravamo già grandicelli per assimilare il buio del terrorismo. Adolescenti negli insulsi anni Ottanta e nella fase della maturità ci tocca la globalizzazione! Alla presentazione sono intervenuti anche il sindaco di Altopascio Marchetti e gli assessori Bianchi e Fantozzi per una serata di notevole appeal culturale.